Tanti anni fa, proprio durante l’università, decisi che mi sarei occupata della psicologia clinica e in particolar modo degli adulti. Mi immaginavo di lavorare in uno studio tutto mio, incontrando uomini e donne portatori di sofferenze, anche antiche naturalmente, ma adulti.
Immaginare di incontrare persone già grandi, nella stanza delle parole, mi pareva un punto di partenza rassicurante: per quanto di terribile possa esserti accaduto nella vita, il fatto stesso di esserne sopravvissuto ed aver raggiunto la dimensione adulta ci permette di avere la prova oggettiva che hai avuto risorse sufficienti per arrivare fino a qui.
Non è poco. Abbiamo un alleato prezioso nel percorso terapeutico: la parte adulta sana che si è assunta la responsabilità di sé al punto da chiedere aiuto.
Questa prospettiva mi ha quindi accompagnato in tutta la formazione, anche quella successiva alla laurea ovvero la scuola di specializzazione in psicoterapia ad orientamento psicoanalitico relazionale. Nei miei primi lavori da dipendente, nel mio veloce passaggio alla libera professione.
Volevo incontrare adulti, capire perché funzionassero in un certo modo a aiutarli a tradurre ciò che non coglievano di loro stessi al punto da diventare completamente autonomi e liberi.
Ma parallelamente ho capito, stando con loro e con me, che ogni volta dal loro sguardo faceva capolino un piccolo bambino o una piccola bambina. Che in realtà, ad un certo punto, era sempre con la loro parte piccola che dovevo stare.
Incontrando gli adulti sono stata con bambini umiliati, abbandonati, trascurati, dimenticati, abusati, vessati, ridicolizzati, spaventati.
Poi sono diventata madre e questo ha irrobustito la consapevolezza che se con il mio lavoro potevo contribuire a migliorare il mondo, poiché è la salute mentale delle persone che fa funzionare meglio le cose, avrei dovuto occuparmi di prevenzione.
E allora ho capito che se non vogliamo un mondo pieno di persone arrabbiate, vendicative, indifferenti e violente dobbiamo fare in modo che le basi psichiche siano preservate. Le fondamenta devono essere solide e allora si procede come bisognerebbe fare ogni volta che si fanno le cose per bene: si parte dall’inizio. Che se è vero che la storia transgenerazionale ci precede e ci condiziona è anche vero che le catene si possono spezzare proprio dall’inizio della vita: come si viene al mondo, come si viene accolti e come si viene accompagnati durante la crescita. E’ questo che farà la differenza
E’ così che ho deciso di dedicarmi alla psicologia perinatale, fondando Asipp- Associazione Scientifica Italiana Psicologia Perinatale, dedicandomi alla formazione degli operatori e occupandomi di psicoterapia e psicotraumatologia. Aiutare i genitori a stare meglio per sé stessi è anche prevenzione perché un adulto più sano e felice offre, inevitabilmente, una buona funzione genitoriale ai propri bambini. E allora le cose non potranno andare poi così male: quei bambini diventeranno adulti compiuti, equilibrati, sani. Umani.
La Psicologia perinatale mi ricorda che nulla è perso, che la fiducia è possibile e il cambiamento realizzabile.